• Pane di matera, fetta a cuore

"Il pane, l'acqua ed il vino, le tre cose più necessarie alla vita, sono eccellenti; ed il pane e l'acqua in ispecie, non sono inferiori a quelli di nessun paese del Regno."

Conte Carlo Ulisse De Salis Marschlins, parlando di Matera, da "Viaggio nel Regno di Napoli", 1789

...ed una piccola ricerca etnografica su tradizioni, leggende e folklore nella città di Matera e nella provincia riguardante il periodo della Commemorazione dei Defunti

Si avvicina la ricorrenza della Commemorazione dei Defunti, il 2 Novembre, e i festeggiamenti di Halloween che mi divertono un sacco. Accertato che questa festa apparentemente importata dagli USA ha in realtà antichissime radici europee ed ha diverse analogie con le antiche tradizioni lucane (per esempio la questua a Montalbano Jonico, l'uso delle zucche intagliate a mò di volti umani come lanterne a Montescaglioso e la convinzione che in questo periodo si assottiglia il confine tra i vivi ed i morti in tutta la regione), mi sono detta che forse è il caso di raccogliere in maniera scrupolosa, quasi "scientifica" le testimonianze di come si celebrava a Matera e in alcuni paesi della provincia, e cosa si doveva fare (o non fare) il 1 ed il 2 novembre, e anche cosa si credeva che accadesse.

La mia piccola ricerca etnografica si basa su interviste e testimonianze rigorosamente dirette di persone anziane, che ricordano bene le vecchie consuetudini, e persone adulte che hanno vissuto le stesse consuetudini da giovanissime, e sono stati spesso le "vittime" degli spauracchi descritti nella seconda parte del documento, e che hanno fatto in tempo a sperimentare l'atmosfera "magica" descritta benissimo da De Martino, Bronzini e anche da Carlo Levi. L'elenco dei principali informatori è pubblicato al termine della seconda parte. La cosiddetta "osservazione partecipante" è venuta da sè, visto che sono immersa da sempre nella cultura popolare lucana e riesco a capire bene il dialetto ed i riferimenti che utilizzano gli informatori interrogati, e fortunatamente sono facilitata nella comunicazione grazie alla innata empatia che naturalmente si stabilisce tra me e gli interlocutori.

Essendo inoltre abbastanza esperta di web e social media ho usato la rete per raggiungere informatori a cui diversamente non avrei potuto arrivare, e la rete ha fatto anche da cartina tornasole: facendo rimbalzare i dati sui vari social network in maniera virale e incrociando commenti e risposte ho appurato che alcuni degli elementi raccolti nelle interviste, per quanto incredibili,  sono davvero diffusi in maniera abbastanza regolare anche nella cultura di persone più giovani.

Le domande che ho fatto sono le seguenti:

  • Cosa si faceva di particolare la vigilia del "giorno dei morti" e durante il due novembre, per commemorare i defunti?
     
  • Cosa si cucinava, cosa si mangiava e come, in questi due giorni?
     
  • Cosa si diceva per spaventare i bambini, quali personaggi mostruosi o sovrannaturali si credeva che esistessero, e come erano descritti? (questo non necessariamente legato alla commemorazione dei defunti, ma in generale, nell'immaginario comune)
     

Preferibilmente ho chiesto a persone anziane, ed ho notato che se molte hanno rimosso i ricordi delle vecchie tradizioni, rifiutandoli, insieme alla vergogna della condizione disagiata piena di miseria del passato, alcuni hanno invece conservato una lucida memoria di molti aspetti della vita contadina e pastorale che sebbene misera e difficile era più semplice e viene raccontata con una nota di rimpianto.
Per quanto riguarda le tradizioni dei paesi della provincia ho notato che si sono salvaguardate meglio rispetto a quelle "cittadine", infatti anche persone giovani ricordano con piacere di aver vissuto alcuni di questi momenti e addirittura per alcuni aspetti sono tutt'oggi presenti nella vita quotidiana.
Per ben due volte inoltre mi sono accorta che chi è emigrato da tanti anni paradossalmente conserva dei ricordi più vividi e precisi delle usanze del paese di origine rispetto a coloro che hanno continuato a viverci; io ho ipotizzato due possibili spiegazioni: o perchè la memoria delle origini aiuta a mantenere l'identità personale anche in un contesto in cui i valori di riferimento sono ovviamente diversi da quelli di partenza, o perchè semplicemente i ricordi sono stati preservati dai mutamenti odierni proprio perchè isolati dal contesto sociale "paesano" che nel frattempo ha subito una modernizzazione ed un cambiamento da cui l'emigrante è rimasto lontano.

Consuetudini domestiche

Per quanto riguarda la prima domanda che ho posto ho ricevuto a volte risposte negative, o perchè gli informatori non ricordavano, o perchè effettivamente, a parte la canonica messa, non c'erano altre forme di celebrazione.
Una forma di commemorazione dei defunti diffusa sia nei paesi della provincia che nella città di Matera è la consuetudine di cucinare delle porzioni in più per la cena del 1 Novembre, e lasciarle sulla tavola imbandita, con i coperti apparecchiati riservati ai defunti a cui si era più affezionati (quelli morti più recentemente, o quelli con il grado di parentela più stretta, o ancora quelli con cui si era avuto un rapporto più affettuoso).
La tavola veniva lasciata apparecchiata quindi per i defunti, con i loro posti regolarmente sistemati, con acqua e vino nelle bottiglie o nei bicchieri, ed anche i piatti venivano lasciati colmi di cibo e coperti, come si soleva fare quando si aspettava qualcuno che cenasse in ritardo. Inoltre venivano posti dei ceri, preferibilmente vicino alle finestre, anch'essi in un numero ben preciso, uno per ciascuno dei defunti che si volevano ricordare. Le spiegazioni che mi hanno dato per queste consuetudini sono state principalmente che la notte del 1° Novembre i morti tornano a visitare la casa che hanno abitato in vita, quindi la candela avrebbe aiutato a trovarla, e la tavola apparecchiata era riservata appunto al loro ristoro (nello specifico a Bernalda, Irsina, Montescaglioso, Montalbano Jonico). Quest'ultima spiegazione è più ricorrente nei paesi della provincia, mentre a Matera spesso viene "addomesticata" prendendo la forma di una commemorazione più razionale, si lascia apparecchiato con i coperti in più per ricordare i defunti ai vivi, e anche i ceri hanno la stessa funzione. Dalla combustione dei ceri tuttavia a Matera in alcune famiglie si traevano interpretazioni riguardanti la volontà dei defunti: se un cero durava più degli altri significava che il congiunto al quale era stato dedicato godeva di maggiore attenzione rispetto a quello per cui invece era stato acceso un cero finito troppo presto: bisognava allora andare a trovare più spesso il parente "trascurato" al cimitero, e recitare qualche preghiera in più per lui. Inoltre se la fiamma di un cero mandava scintille crepitando significava che il defunto a cui era dedicato era contento delle attenzioni ricevute, e il suo spirito era presente in maniera positiva. In casa si tenevano le finestre semichiuse, la radio (e oggi la televisione) a bassissimo volume, si parlava a voce bassa e non si doveva eccedere nel "divertirsi" o nello scherzare, sia per una forma di rispetto verso i defunti, sia perchè si riteneva che comportarsi contrariamente avrebbe potuto richiamare gli spiriti dall'oltretomba. Si evitava di mangiare carne e ci si nutriva in maniera più spartana e semplice dalla sera del 1 novembre, fino alla fine del giorno seguente. In alcune famiglie alcuni di questi codici di comportamento vengono osservati anche oggi.

    • ceri

Le commemorazioni religiose

In tutti i paesi e a Matera si andava a messa, in molti posti la messa veniva celebrata direttamente al cimitero, dopo una processione, anche oggi questa consuetudine è rimasta. A Salandra dopo la messa principale il sacerdote officiava delle brevi funzioni nelle cappelle private del cimitero, addobbate per l'occasione con preziosi tessuti ricamati e fiori sull'altarino interno. A Montescaglioso era d'obbligo andare a messa la mattina prestissimo, verso le 4:00 e solo nella mattinata del 2 novembre veniva esposto nella Chiesa Madre un piccolo scheletro di bambino poggiato su un cuscino rosso, su un piccolo catafalco coperto da drappi di raso neri, "u' mort'cjiedd", che si andava a salutare, tradizione durata fino alla fine degli anni '60. Non ho invece trovato traccia del lamento funebre, codificato e collettivo, ripetuto al cimitero sulle tombe dei cari dalle donne materane di cui parla il Bronzini nel libro "Vita tradizionale in Basilicata".

    • San Domenico, angelo e teschio 2

La "processione dei morti"

Un elemento che ricorre dappertutto, sia a Matera che nei paesi della provincia, sebbene con piccole variazioni, è la "processione dei morti". Nella notte tra il 1 e il 2 novembre si narra di una processione dei morti (o delle anime del purgatorio) che esce dal cimitero del paese e si inoltra nella città, in alcune versioni per consentire ai defunti di visitare le case di origine, in altre semplicemente per "girare il paese", in altre ancora per dirigersi in un determnato luogo, come a Montescaglioso la chiesa di Sant'Agostino o a Pomarico la chiesa Madre. Ovviamente era sconsigliabile incontrare questa processione, incuteva terrore di per sè, ma in alcuni paesi era assolutamente tassativo evitare l'incontro in quanto si sarebbe stati portati via dalle anime. Gli informatori riferiscono di incauti ragazzi che nel voler fare una bravata sono stati trovati morti alle porte del cimitero la mattina dopo (Pomarico), oppure sono stati trovati morti dietro la porta della chiesa dove avevano spiato la riunione dei morti (Montescaglioso). Quasi tutti gli informatori riferiscono che un loro conoscente stretto (una comare, un cugino, un amico) hanno visto direttamente questa processione, rimanendo nascosti, chi perchè rimasto sveglio con un forte mal di denti (Pomarico), chi perchè si stava recando al mattino molto presto a lavorare nei campi (Matera), chi perchè impastava il pane a tarda notte (Montescaglioso). A Pomarico si riferisce di una signora avvisata da un parente defunto presente nella processione che le suggerisce di andare subito in casa, essendo lei alla finestra, mentre passavano. A Montalbano Jonico si doveva stare molto attenti oltre che a non uscire a tarda notte, specialmente a non passare nei paraggi del cimitero per non intralciare tale processione, inoltre, come in molte zone del Sud Italia, si riteneva che i bambini potessero vedere i morti e si stava molto attenti a tenerli sotto controllo in casa perchè si temeva che riconoscendo i nonni o dei parenti defunti a cui erano affezionati li potessero seguire e farsi male, o addirittura essere portati nell'aldilà... nello specifico si raccomandava ai più piccoli, nel caso vedessero persone defunte che amavano, assolutamente di non dare loro la manina!
Molti riferiscono di aver sentito personalmente lo scalpiccìo dei passi dei "morti" sul selciato in tale occasione, alcuni riferiscono addirittura di aver sentito rumore di catene trascinate dalle anime penitenti, altri ancora hanno sentito il rumore degli zoccoli dei cavalli che li accompagnano, infatti riferiscono alcuni informatori anziani a Matera che la processione è guidata da Sant'Eustachio a cavallo, mentre a Montescaglioso da san Pietro. Sempre a Montescaglioso viene a volte chiamata la "processione dei Santi". Quasi sempre i partecipanti alla processione vengono descritti vestiti di bianco, con una candela in mano di piccolissima statura. A Pomarico si crede che quelli vestiti di bianco siano i morti per cause violente, mentre gli altri defunti siano vestiti normalmente. A Bernalda è possibile vedere questa processione "dallo spioncino o da una fessura della porta" a patto che si tenga in mano una cero "speciale" acceso. Questo cero deve essere costruito un po' alla volta tutti i giorni secondo procedure che non mi hanno descritto, ma pare che bisognasse aggiungere al materiale di cui è fabbricato anche il cerume delle orecchie di chi intendeva vedere "i morti" (ebbene sì!). Anche a Irsina era possibile vedere la processione dei morti, ma riflessa in un catino di acqua con un cero poggiato accanto, sul bacone di casa. Questo comportamento però non era ben visto, in generale i morti bisognava "lasciarli in pace", è per questo che si lasciava la tavola apparecchiata e si andava a letto, per consentire loro di visitare casa e rifocillarsi tranquillamente, perciò se scoprivano di venire spiati semplicemente scomparivano (Bernalda). Anche se non si era fatto in tempo ad andare a rendere l'estremo saluto ad un parente o a un caro amico, ci si poteva consolare salutandolo con lo stesso metodo: l'ardere di tale speciale candela nella notte del 1 novembre avrebbe evocato per pochi secondi la sua presenza rendendo possibile un commiato (Bernalda). 
Questa processione dei morti mi ha ricordato molto la "messa dei morti" di cui parla De Martino in "Sud e magia", ha le medesime modalità di racconto, ed in particolare a Pomarico si racconta che il sacrestano, alzatosi prestissimo per andare a presenziar el amessa del 2 novembre che si celebrava nelle primissime ore del mattino, sia rimasto abbagliato da una luce. Pensando di essersi alzato tardi e che fosse la luce del giorno, si precipitò nella Chiesa Madre trovando invece proprio la "messa dei morti", officiata da un prete minuscolo.

    • San Giovanni, finestra

Superstizioni e tradizioni

In pratica sembra che le anime del purgatorio abbiano un periodo di tregua e riposo dalla penitenza che inizia proprio il 2 novembre e termina all'Epifania, per questo alla vigilia del 2 novembre il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti è ritenuto a volte pericolosamente labile.
A Matera nella notte tra il 1 e il 2 novembre molti sostenevano di aver incontrato un misterioso "monaco bianco", con un bastone in mano, che si aggirava negli antichi rioni Sassi,  dando persino un riferimento spaziale: passava da una parte all'altra della scalinata "Del Ponticello" che collega Piazza Vittorio Veneto a Via Fiorentini o dalle scale di Sant'Antonio. Alcuni riferiscono di aver sentito anche la sua voce, e che spesso spariva nel nulla dopo l'avvistamento.
In taluni paesi era diffusa la consuetudine della questua: i bambini (ma anche alcuni adulti, poveri, che in tale giorno potevano ricevere elemosine senza perdere la dignità), giravano per le case con un sacchetto in mano e quando veniva loro aperta la porta scandivano la formula rituale "per le an'm a l muort" (per le anime dei morti), ricevendo in cambio mele, frutta secca, specialmente fichi, più raramente dolcetti o monetine. Un informatore di Montalbano ricorda che era facile passare dalla richiesta rituale alla burla, nel caso non si fosse ricevuto nulla: quando il coro dei bambini scandiva la richiesta ripetutamente senza suscitare l'ambita elargizione di cibo, a un certo punto la frase si trasformava in una terribile bestemmia diventando "a l'anm di chitemmuort!" alla quale seguiva immancabilmente una precipitosa fuga tra le risate...
A Pomarico si usava recitare un numero preciso di preghiere a cui seguiva ripetutamente di entrare ed uscire dal cimitero, e serviva per alleviare le pene delle anime del purgatorio, togliendo loro un numero preciso di anni da scontare a seconda di quante volte veniva varcata la soglia del cimitero (non sono riuscita ad avere una descrizione migliore di queusto rito).
A Matera si era soliti cucinare un piatto di legumi ed offrirlo ai poveri, come opera di bene offerta in memoria delle anime del Purgatorio, e questa usanza si è pian piano trasformata in una offerta di cibo, vestiti o denaro ed è tuttoggi praticata.

Il cibo

Crapiata piatto intero

Nella maggior parte dei paesi da cui provengono gli informatori, compresa Matera, non c'è un cibo speciale preparato in questa ricorrenza, a parte la già menzionata zuppa di legumi. Anche in alcuni paesi ricorre la preparazione di piatti a base di grano e legumi come la crapiata (a Pomarico, dove oltre a consumarla nel pranzo del due novembre veniva data, come a Matera, in offerta ai poveri). Pare evidente la correlazione al cibo preparato durante le feste Antesterie degli antichi Greci, in onore di Dioniso, ripreso anche dai Romani che reputavano le fave sacre ai morti. Inglobata nel primo pensiero Cristiano, la consuetudine di cibarsi di legumi diventò regolare nei monasteri in cui si svolgevano le veglie di preghiera per la commemorazione dei defunti, e si distribuivano legumi cotti ai poveri proprio come da noi, come cibo simbolico.

A Montalbano Jonico invece si prepara la "pasta chiusa" cioè la pasta formata con il ferretto ma non allungata a spirale, soltanto arrotolata, ripassata nel vincotto.

Io invece ho cucinato un piatto diffuso in molti paesi della provincia materana e potentina (ma anche in Puglia): la "cuccìa". E' un dolce a base di grano, frutta secca, vincotto e melagrane, tutti alimenti con un forte significato simbolico, basti pensare al grano, usato da sempre come simbolo di fertilità ma sopratutto come simbolo di morte e risurrezione, come nei Sepolcri,  o ai sei chicchi di melograna mangiati da Proserpina che la costrinsero a passare sei mesi all'anno nell'Ade.

    •  sei chicchi

Ho seguito la ricetta che mi ha pazientemente dettato al telefono zia Sisina, la sorella del mio nonno paterno che ha 95 anni e una salute di ferro, a parte qualche reumatismo alle ginocchia. E' una vecchietta super-arzilla e sopratutto lucidissima, ed ha vissuto ad Irsina badando a mia mamma e a svariati altri nipoti di estate, dove venivano mandati "in vacanza", il che significava combinare diavolerie a casa della zia,  finchè un grande amore non l'ha portata nella capitale, dove vive tutt'ora. Lei dice che la cuccìa va fatta col grano duro buono (e sottolinea la parola!), e sopratutto che la ricetta irsinese prevede che si cuocia in acqua e vincotto mescolati, risultando più saporita dalle altre versioni che prevedono semplicemente di condire il grano (tenero) bollito in acqua col vincotto e gli altri ingredienti solo dopo averlo scolato. Dice anche che va bene anche il cotto di fichi per questo dolce, e io ho usato proprio quest'ultimo, che ha una nota amarognola ed un leggero retrogusto di liquerizia che aggiunge un tocco in più. L'unica concessione che ho fatto alla "modernità" è stata quella di utilizzare grano perlato invece che intero, così non ho dovuto cuocerlo per tanto tempo (avevo paura che potesse prendere un sapore troppo amaro dopo minimo due ore di bollitura!).

Piatto antico diffuso in Lucania ed altre regioni del Sud Italia, la cuccìa è un dolce a base di grano, vincotto, frutta secca e chicchi di melograno e si prepara tradizionalemente il 2 Novembre, il "giorno dei morti". Ad ogni cucchiaiata si ha l'impressione di masticare un pezzo di autunno, un pezzo di passato remoto e un pezzo di paesaggio rurale...

    • cuccia nella ciotola blu 4

Ingredienti

  • 400 g. di grano duro perlato
  • 1,5 l. di acqua
  • 150 g. di zucchero (facoltativo, ma vivamente consigliato)
  • una stecca di cannella
  • la scorza di un limone medio (solo la parte gialla!)
  • 180 g. di cotto di fichi o vincotto
  • 80 g. di mandorle pelate
  • 50 g. di gherigli di noci
  • 2 melagrane (circa 250 g. di chicchi puliti)
  • 1/2 cucchiaino scarso di cannella macinata o pestata
Preparazione: 25 minuti
Cottura: 40 minuti
Dosi per: 8 persone
Difficoltà: Media
Reperibilità alimenti: Media
Livello di prezzo: Medio
Stagione: Autunno
Nazione: Italia
Regione: Basilicata

Attrezzatura necessaria:
  • Casseruola grande
  • Colapasta
  • Ciotola grande
  • tagliere e coltello

Mettere a bagno il grano per 8 - 12 ore, poi sciaquarlo bene e scolarlo.

Mettere il grano in una casseruola capiente insieme a 1,5 l. di acqua, lo zucchero, la stecca di cannella, la scorza di limone intera e 150 g. di cotto di fichi.

Mescolare e portare ad ebollizione.

schiuma di vincotto

Portare a cottura a fiamma bassa, a pentola coperta e rimuovere l'eventuale schiuma che si forma con una schiumarola.

Nel frattempo che il grano cuoce tagliare con un coltello ben affilato le mandorle a striscioline e tenerne da parte circa 30 g.

Tostare questi filetti di mandorle a fiamma bassissima, si devono asciugare ma non colorire affatto, devono rimanere bianchissimi, per alcuni questo è un riferimento alle "ossa dei morti".

Tritare le restanti mandorle grossolamente col coltello (oppure utilizzare direttamente 50 g. di madorle a lamelle).

Tostarle regolarmente in padella.

Tritare grossolanamente le noci con il coltello.

Dividere a metà una melagrana incidendo solo la scorza esterna e tirando decisamente le due estremità verso l'esterno (serve a non far rompere i chicchi interni tagliandoli, ma a farli staccare tra loro delicatamente).

Successivamente incidere degli spicchi sulle due metà e staccarli con lo stesso metodo.

Sgranare gli spicchi così ottenuti delicatamente, avendo cura di rimuovere tutte le pellicine gialle che hanno un pessimo sapore, possibilmente anche quelle minuscole che rimangono attaccate alla base dei chicchi.

Appena il grano diventa morbido è pronto, spegnere e rimuovere subito la scorza di limone (in caso contrario cederà amarezza alla pietanza). I chicchi dovrebbero essere morbidi ma consistenti, vanno lasciati leggermente al dente.

Lasciar raffreddare il tutto.

Una volta freddo rimuovere la stecca di cannella, scolare e mettere il grano in una ciotola capiente.

Aggiungere al grano la cannella macinata, 3/4 dei chicchi di melagrana, le noci, le mandorle tritate e tostate, 30 g. di vincotto e mescolare delicatamente.

Mettere il composto nelle coppette da portata, oppure in una unica coppa di servizio.

Disporre sulla superficie parte dei chicchi di melagrana tenuti da parte e dei filetti di mandorla leggermente tostati.

Servire a temperatura ambiente.

    • cuccia nella ciotola blu righe

Trovate qui la seconda parte della mia indagine, quella più divertente, insieme ad una ricetta "frivola", adatta per divertirsi ad Halloween.

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