Il Cazzomarro alla brace ... ed un saggio sul banchetto rituale dei popoli lucani
Questo post riguarda una antica ricetta lucana, ed una ricerca sulla consuetudine di celebrare un banchetto rituale con carne arrosto dei popoli lucani; essendo abbastanza lungo ed approfondito vi consiglio di saltarlo a piè pari se non vi interessano storie di dee, santuari, spiedi, alari, sacrifici e guerrieri enotri, ed andare direttamente in basso alla ricetta del Cazzomarro.
La Lucania è situata fra la costa del mar Tirreno e quella
del mar di Sicilia: sulla prima si estende dal Silaris al Laos,
sulla seconda da Metaponto a Turi; sul continente essa si
estende dalla terra dei Sanniti fino all’istmo che va da Turi a
Cerilli, vicino a Laos… Prima che venissero i Greci non c’erano
ancora i Lucani, ma questi luoghi erano occupati da Coni
ed Enotri.
(Strabone, VI, 1, 2-4)
Di solito il consumo di interiora arrosto, in diverse modalità, è associato alla cultura greco antica, che ha pervaso per molti secoli gran parte del Sud Italia nel periodo di colonizzazione Magno Greca, attorno al VII sec. a. C.
Io vorrei parlarvi invece dei popoli lucani indigeni, che abitavano nella mia regione prima dell'arrivo dei Greci, definiti genericamente "Enotri", presenti sul territorio già dal IX sec. a.C.
A partire dalla fine del VII sec. a.C., quando si avviano i contatti tra questi ultimi, le colonie greche della costa ionica e gli Etruschi stanziati sul Tirreno, gli "Enotri" vennero coinvolti in una forte crescita culturale e piano piano subirono un processo di "grecizzazione" adottando usi e costumi propri di questo popolo, attratti dalla raffinata civiltà di cui era portatore.
A questo melting pot culturale si aggiunse nel V sec. a.C l' invasione osco-sannita, quando popoli provenienti dal centro Italia occuparono alcune parti nell'interno della regione, fortificando gli insediamenti e rimanendo in conflitto con i greci, a differenza di enotri, apuli e peuceti che intrattenevano con essi rapporti sociali e commerciali amichevoli.
In Basilicata ci sono molti resti e reperti che attestano un culto religioso manifestato in santuari terrazzati, collocati sulle alture boscose, in prossimità di fonti di acqua (che spesso venivano irregimentate in vasche adatte alle abluzioni rituali), in luoghi strategici posti a controllo degli itinerari fluviali, agevoli vie di transito e di collegamento tra la costa ionica, i territori interni e il versante tirrenico.
Questi santuari, presenti per esempio a Garaguso, Ferrandina, Tricarico, San Chirico Nuovo, Ruoti, Rivello, Timmari, Satriano, Chiaromonte, Rossano di Vaglio, erano collocati nella cosiddetta mesogaia, la terra di mezzo, che congiungeva le aree di influenza greca, etrusca e lucana.
I luoghi di culto erano dedicati a una divinità femminile connessa in primo luogo ai cicli agrari e, più in generale, alla sfera della fertilità, probabilmente la dea Mefite, dea osca della terra e del cielo, connessa con le sorgenti, e che presiede ai mercati e agli scambi (in base alle testimonianze epigrafiche, il santuario di Rossano di Vaglio è sicuramente dedicato a lei).
In parte considerata una dea infera, in parte oracolare, "colei che sta nel mezzo", fa da tramite tra sottosuolo e superficie e tra cielo e terra.
In alcuni santuari (come ad Armento) era associato alla dea anche il culto di Eracle, dio per
eccellenza delle genti italiche e legato ai riti di transizione dei giovani guerrieri lucani.
In questi santuari, oltre che depositare in apposite stipes e scaffali gli oggetti votivi, era presente il rito del sacrificio animale, a volte con modalità di incinerazione, a volte con modalità simile alla fossa bothros greca, in cui si versavano offerte sia come suppellettili, sia come latte, vino, miele e sopratutto il sangue delle vittime che venivano sgozzate a diretto contatto con il terreno.
In alcuni santuari, come quello di Satriano (di cui vedete a sinistra la ricostruzione) o di Tricarico era addirittura presente un intero edificio posto accanto al tempio con il sacello della dea, dove si praticava il banchetto rituale, il simposio, sembra in occasione di partenza e ritorno nella comunità dei guerrieri, come ci informano le illustrazioni di alcuni vasi a figure rosse. Un significativo elemento del rituale “segnava” l’ingresso agli edifici: un pilastrino in arenaria su cui era originariamente
collocata una phiale mesomphalos in bronzo (coppa per libagioni).
Scrive Aristotele a proposito dei “discendenti dall’eponimo Italo”
(Arist., Pol., VII, 9, 2):
Dicono anche che questo Italo abbia trasformato
gli Enotri, da nomadi che erano, in agricoltori e che
abbia dato ad essi altre leggi, e per primo istituito i
sissizi. Per questa ragione ancora oggi alcune delle
popolazioni che discendono da lui praticano i sissizi e
osservano alcune sue leggi.
I sissizi non erano altro che questi banchetti rituali, evidentemente molto importanti nel tipo di società dell'epoca; non dimentichiamo infatti che in quei tempi tutto era regolato con la scansione ciclica di celebrazioni che ritmano la vita del gruppo, sottolineando i tempi della guerra, del ciclo agrario e dei cicli esistenziali umani.
Il sacrificio di un animale mediante sgozzamento rituale comprendeva il consumo di una parte della carne ad opera dei partecipanti al rito, mentre un'altra parte veniva offerta in voto alla divinità. La carne veniva consumata secondo norme molto precise e la vittima veniva scelta in base al culto e alla occasione in cui veniva praticata l'offerta.
La vittima sacrificale per eccellenza nel mondo antico è senz’altro il bovino, di cui ci sono ampi ritrovamenti per esempio nell’area sacra di Torre di Satriano, ma molto spesso anche ovini e suini.
Nelle necropoli lucane ogni guerriero sepolto degno di onore e rispetto aveva nel corredo funebre oltre ad armi, elmi e protezioni varie per le battaglie , anche spiedi, pinze ed alari per l'arrosto e un corredo di coppe per assumere il vino, tutto il necessario insomma per un simposio.
Se è vero che per il mondo greco conosciamo le complesse regole, tabù e norme alimentari grazie agli scritti degli storici, per il mondo lucano invece dobbiamo desumere solo dai reperti, dalle suppellettili da mensa, dalle strutture e dai resti di incinerazione le regole seguite durante sacrifici e banchetti. Le numerose incisioni ritrovate in prossimità dei luoghi di culto che riportano sia in osco che in greco le iscrizioni, infatti, si limitano a descrivere la struttura del pantheon locale e le istituzioni politiche che controllavano i santuari, ma nulla chiariscono riguardo le modalità pratiche del culto e del relativo banchetto legato al sacrificio.
Facendo un parallelo con le usanze greche possiamo supporre che avesse molta importanza che l'animale scelto fosse integro e perfetto, e una particolare attenzione veniva prestata proprio alle interiora, in cui nel mondo greco si leggevano gli auspici per il futuro.
Come spiega Platone nell'Eutidemo infatti, ogni carne commestibile deve provenire da un’uccisione rituale, e l’offerta di una vittima sacrificale è pensata e praticata come un modo di mangiare insieme, tanto da avere un "professionista del sacrificio", il mageiros, che si deve occupare sia dell'aspetto rituale - eseguire correttamente il sacrificio - che di quello organizzativo, procedendo a una giusta suddivisione dell' animale tra i partecipanti.
Questo mondo in cui si praticavano riti arcaici con un forte legame con la natura ed i suoi cicli non sopravviverà oltre il II sec. a. C, quando con la colonizzazione romana cambiarono l'organizzazione e l'assetto territoriale, e sparirono i santuari lucani, le campagne si spopolarono e i luoghi di culto vennero pian piano abbandonati e dimenticati; forse solo alcune tracce sono rimaste nella cultura del luogo fino ai giorni nostri: qualche parola dialettale in cui si percepisce una chiara matrice greca (o osca, specialmente nell'area tirrenica), qualche usanza antica opportunamente mascherata dalla chiesa cattolica con il festeggiamento di questo o quel santo (come il frequente matrimonio tra alberi, ancora oggi molto sentito in diversi comuni lucani, Accettura in primis con la Festa del Maggio), e qualche piatto a base di interiora arrosto generlamente cotte allo spiedo, proprio come usavano gli antichi guerrieri che qui vissero, molti secoli fa.
Per saperne di più, si può leggere questo documento sui ritrovamenti a Torre di Satriano, un giro virtuale nella Magna Grecia qui, leggere L'archeologia della Basilicata in mostra, Il ruolo dell'acqua nei luoghi sacri della basilicata antica, Rituali per una Dea lucana (da cui è tratta l'immagine del santuario in alto), a cura della Regione Basilicata. Inoltre questa interessante tesi di laurea di Marco e questo studio della Dott.ssa A. Russo.
Consiglio anche due libri, "Mito e religione in Grecia antica" di Jean-Pierre Vernant e "La cucina del sacrificio in terra greca" di Marcel Detienne, Jean-Pierre Vernant, e la pubblicazione sempre di A. Russo "L'età Arcaica", del Consiglio Regionale di Basilicata.
Attualmente il consumo di piatti a base di interiora arrosto è diffuso un po' in tutto il Sud Italia, il cazzomarro e gli gn'mmredd in Puglia e Lucania, le stigghiole in Sicilia, ed anche in Sardegna la treccia ha sicuramente la stessa matrice culturale, i popoli italici migranti ci hanno fatto questi bei regali!
A proposito del buffo nome di questo antico piatto, dall'impatto un po' porno, che ti lascia interdetto quando a pronunciarlo è una candida vecchietta tanto per bene che si accinge a preparare il pranzo dopo la messa della domenica, sappiate che quasi sicuramente non ha origine per assimilazione dalla forma oblunga sospettamente fallica che prende a volte l'involtino, ma viene probabilmente dalla parola dialettale "cazzare", cioè schiacciare (riferito al contenuto di interiora condite e strettamente legate) e dal vocabolo pre - latino “marra”, mucchio di sassi, in riferimento alla forma tondeggiante che come vedete nelle foto assume la preparazione, come mi confermano anche in questa discussione nel forum Gennarino, vocabolo che si ritrova anche in alcuni toponomastici come Marrara e Marradi.
Il Cazzomarro, antica ricetta lucana e pugliese a base di interiora di agnello, è un piatto per intenditori, ma conquista spesso anche il gusto di chi non è abituato a mangiare il "quinto quarto", specialmente cotto sulla brace come ho fatto io, perchè diventa croccante esternamente e rimane umido e fragrante all'interno.
Ingredienti
- 300 g. di interiora miste di agnello
- 150 g. circa di omento di agnello (la membrana reticolata che avvolge l’intestino tenue), chiamato volgarmente "rete" o "zeppa"
- 200 g. di intestino tenue di agnello
- un rametto di prezzemolo tritato finemente
- 2 cucchiai di formaggio grattugiato, possibilmente pecorino
- 1/2 spicchio di aglio tritato finemente (o mezzo cucchiaino scarso di aglio essiccato se si desidera un aroma meno pungente)
- peperoncino piccante macinato grossolanamente se gradito
- 2 cucchiai di aceto bianco (facoltativo)
Cottura: 40 minuti
Dosi per: 2 persone
Difficoltà: Media
Reperibilità alimenti: Media
Livello di prezzo: Medio
Nazione: Italia
Regione: Basilicata
Attrezzatura necessaria:
- Spiedo o griglia, barbecue o forno a legna, ciotola piccola.
Preparazione "Il Cazzomarro alla brace"
Lavare più volte e con molta cura il budello di agnello lasciando scorrere acqua pulita all'interno e stringendolo tra due dita facendola scorrere in avanti.
Mettere a bagno in acqua fredda per una mezz'ora il budello pulito, aggiungere un paio di cucchiai di aceto se si desidera sbiancarne decisamente il colore.
Tagliare a listarelle di circa 4 centimetri le interiora di agnello, si può usare fegato, polmone, animelle, cuore ecc.
Condire con il formaggio grattugiato, l'aglio ed il prezzemolo rigirando bene, se gradito è possibile aggiungere anche del peperoncino piccante tritato grossolanamente, qui conosciuto come "pepone".
Porre sul piano di lavoro uno strato di "rete" di agnello ben aperta, e sovrapporne un'altro per aggiungere resistenza all'involucro del "marro", in maniera da evitare eventuali lacerazioni nel tessuto che comprometterebbero la tenuta dell'involtino e lascerebbero colare fuori i succhi delle carni poste all'interno.
Adesso disporre al centro della "rete" le interiora tagliate e condite, formando un mucchietto ovale, e ripiegare la rete nei due estremi laterali.
Avvolgere a pacchetto la rete sulle interiora sovrapponendo i lembi nella parte più lunga, posizionando nella parte di sotto il punto di giuntura.
Avvolgere con quattro o cinque giri di intestino la parte più lunga, poi cominciare da una estremità ad arrotolare il budello fino a coprire quasi interamente l'involto.
Finire il lavoro facendo passare l'ultima parte sotto uno dei giri più stretti, tirando leggermente per bloccarla.
A questo punto bisogna cuocere il "cazzomarro": una delle cotture più tradizionali è quella al forno, con patate e lampascioni che ha spiegato qui benissimo Angela, ma un'altro modo di cuocerlo altrettanto antico è semplicemente sui carboni, come lei stessa mi ha suggerito di fare quando le ho chiesto lumi su come potevo cimentarmi con questa stranezza gastronomica.
L'unica accortezza da avere è cercare di azzeccare i tempi di cottura: bisogna lasciarlo cuocere quanto basta perchè all'interno non rimanga crudo, perchè trattandosi comunque di interiora è meglio evitare cotture al sangue, ma nello stesso tempo bisogna evitare che si secchi risultando troppo asciutto.
E' opportuno quindi posizionare la griglia (o meglio lo spiedo, per rimanere in tema storico) non troppo vicina ai carboni, e girare da tutti i lati il cazzomarro mentre cuoce, per farlo rosolare per bene in maniera tale che il budello che lo avvolge diventi croccante, mantenendo l'interno umido e tenero.
Vista la lunga cottura, specialmente se preferite una consistenza più morbida, è oppurtuno sovrapporre al cazzomarro un recipiente di acciaio o alluminio (una coppa, un vassoio, ma anche un paio di vaschette di quelle usa e getta accoppiate), in maniera che il calore delle braci abbia una diffusione migliore e la cottura sia più uniforme, e questo metodo funziona anche con gli "gnimmiriddi", piccoli involtini confezionati nello stesso modo anch'essi tradizionali in Puglia e Lucania.
Io l'ho lasciato cuocere 40 minuti abbondanti, e a noi piace ben cotto e molto rosolato.
Il volume del nostro involtino si ridurrà di molto con questa lenta modalità di cottura, è per questo che ho indicato due porzioni per mezzo kg. di carne; se cucinato diversamente potrebbe bastare anche per quattro persone.
Una volta raggiunta la cottura desiderata, togliere il cazzomarro dalla griglia, lasciarlo assestare per cinque minuti e poi affettarlo con un coltello affilato, nelle fette si noteranno i diversi pezzi di interiora utilizzati: le parti più scure sono sicuramente di fegato e polmoni, il colore più rosato è del cuore e le parti chiare sono quelle più ricercate dagli intenditori, si tratta delle animelle, che si sciolgono letteralmente in bocca ed hanno un sapore delicatissimo.
Un'altra ipotesi di cottura adatta per il cazzomarro, anche se di certo non è tradizionale dei nostri luoghi, ma della parte opposta di Italia, il Piemonte, è il brasato: si sposa benissimo con questa preparazione a base di interiora!
Bisogna lasciar cuocere in pentola coperta per circa 30/40 minuti un involtino di circa 500 g. con mezzo litro di vino rosso corposo, cipolla, carota, sedano, aglio chiodi di garofano, pepe in grani ed alloro.
Note
Ho scritto questa ricetta avvalendomi della preziosa collaborazione di Flora e Pasquale Manicone, e Maria Rosaria Fiore, tre ragazzi giovani ma espertissimi e davvero professionali, che hanno una bottega di macelleria nel Mercato di via Marconi e sono dei veri appassionati di cucina e tradizioni locali.
Mi piace fare spesa da loro perchè vendono carni provenienti da un raggio di massimo un centinaio di chilometri dalla nostra città, per esempio utilizzano i pregiati maiali di Banzi, agnelli e mucca podolica dalle zone di Acerenza, Tolve, Cancellara ecc.
Bandite quindi carni da allevamenti super industriali e di provenienza non locale!
E' possibile ordinare su richiesta gn'mmreddi e cazzomarri già belli e pronti, chiamandoli al 339 4376343, e in generale se siete dalle parti di Matera consiglio ai foodies di fare un giro nel loro negozio; sono sempre sorridenti e disponibili e vi daranno tutte le dritte per cuocere al meglio la carne e tutte le informazioni che desiderate su razze locali, provenienza degli animali macellati, e vecchie usanze popolari!
Dopo aver cotto il cazzomarro non ho più badato alla brace, a sera mi sono accorta che la cenere era ancora calda, e così ho cucinato un bell'ovetto alla mia bimba più piccola, avete mai assaggiato l'uovo cotto così?